La palla rimbalza contro il muro e torna indietro. A volte piano, altre volte più forte. Dipende da come Line la lancia, con quanta forza. E dipende anche se lo fa con le mani o con i piedi. Con i piedi è più forte, ha ripreso proprio dal suo papà. Prende la rincorsa dalla cucina, sfreccia per il corridoio, dribbla i peluche che ha messo in fila davanti al letto e calcia potente contro il muro. La palla torna indietro velocissima. E la mamma si arrabbia perché ha già rotto una lampada.
Ma la vera festa inizia quando papà torna a casa e i calci al pallone li danno insieme. Lui lo fa mestiere, dà i calci a una palla e tutti sugli spalti impazziscono. Cori, applausi, striscioni e inneggiamenti. Ma nulla è paragonabile ai minuti di gioco con Line prima di sedersi a tavola per la cena. Ed è mentre sono a cena che arriva una chiamata. Papà deve partire, va a giocare i campionati Europei, una cosa che non capita tutti i giorni. Line è felice ma anche triste, si è ammalata e lo vorrebbe sempre vicino a lei, a giocare con il muro.
La prima partita è trasmessa in televisione e Line è lì davanti, in prima fila. Strilla forte il suo nome, lo incita, lo applaude e lo incoraggia in ogni azione. La sera lo chiama. «Ho sentito il tuo tifo, Line» «Ma papà, mi prendi in giro? Siamo troppo distanti» «Hai mai sentito parlare dell’eco?» «No papà, cos’è?» «Quando lanci la palla contro il muro quella ti torna indietro e comincia a rimbalzare ovunque, hai rotto anche la lampada della mamma così. Alla voce succede la stessa cosa: se strilli e quella va a sbattere contro qualcosa torna indietro e comincia a rimbalzare. Rimbalzando, rimbalzando è arrivata fino a me. Domani se strillerai più forte ti sentirò meglio».
Line è la prima a piazzarsi davanti al televisore ogni sera. Ha anche un piccolo megafono con sé, per farsi sentire meglio. E il tifo è talmente forte che la squadra del suo papà arriva in finale, contro la Germania. Line cerca il suo papà in ogni inquadratura, lo aspetta paziente e intanto grida il suo nome. Intanto l’amico Jensen segna e la Danimarca è in vantaggio. Ancora qualche minuto e Line vede il papà nell’inquadratura. È solo, nell’angolino della televisione. «Vai papà, segna!», strilla fortissimo Line. Laudrup gli passa la palla e il suo papà la mette a segno. Due a zero. Vittoria. Storia.
«Hai visto Line? Ho segnato perché me l’hai chiesto», si sente rimbombare nella stanza di ospedale. «Papà ha ragione, l’eco funziona. Da grande voglio diventare eco e andare in giro per il mondo come una pallina impazzita», e si addormenta. Line oggi è quell’eco. Il papà entra nella sua stanza, tira il calcio a un pallone e grida «Gol». Dall’altra parte Line gli risponde, sempre. Ogni volta è in una parte del mondo diversa ma trova il muro adatto per far arrivare al papà tutto il suo amore.
Ho raccontato di Kim Vilfort, centrocampista della Danimarca campione d’Europa nel 1992. Una sorpresa per il mondo intero. La squadra guidata da Moller Nielsen, infatti, è stata ripescata all’ultimo minuto, dopo l’esclusione della Jugoslavia per via dell’assedio di Sarajevo in corso ormai da due mesi. I giocatori torna dalle vacanze e partono alla volta della Svezia, compreso Vilfort. Per lui, però, la situazione è un po’ diversa. A casa ha una figlia di 8 anni colpita da una grave forma di leucemia. E infatti, a ogni fine partita torna in patria da lei, per poi ripartire e scendere di nuovo in campo. La Danimarca, la squadra ripescata, quella che avrebbe dovuto essere eliminata al primo turno, la cenerentola del campionato, batte uno a uno tutti i suoi avversari. Pareggia con l’Inghilterra, perde con i padroni di casa ma vince con la Francia e passa il turno. Davanti a loro i danesi hanno ora l’Olanda, campione in carica e squadra piena zeppa di talenti. Ma anche qui la Danimarca non si arrende e ai rigori (il decisivo lo sbaglia Marco Van Basten) conquista la finale, contro i ben più corazzati tedeschi. Dopo appena 19’ di gioco, Jensen porta in vantaggio la squadra di Nielsen. Il cronometro gira e la Danimarca ha l’occasione di raddoppiare: parte il contropiede di Brian Laudrup che vede un suo compagno da solo. Quel compagno è Vilfort, che non sbaglia. Due a zero per la Danimarca. Abbraccio dei compagni, partita vinta e impresa storica portata a termine. Nella vita Vilfort non ha la stessa fortuna. Sua figlia muore poco tempo dopo la conquista del titolo europeo
Moretta di nome e di fatto è la frase che la perseguita da quando è bambina. Nomen omen. Si è sempre immaginata con un cesto di more in testa, come una moderna e più gustosa Medusa. La sua fantasia un po’ onìrica, oggi, si è riversata nello sport. I campioni diventano eroi, le loro vittorie o sconfitte gesti epici. Perché lo sport è una favola a occhi aperti.