• Home
  • Storie (in)dimenticate
  • Amore per la maglia
  • Eroi di provincia

La schiacciante maggioranza bulgara: il calcio nella terra di Stoichkov e Asparuhov

10th Gen 2017
Nascita, ascesa e declino del football da Vasil Levski a Trifon Ivanov, passando per USA 94 e il Ludogorets
La schiacciante maggioranza bulgara: il calcio nella terra di Stoichkov e Asparuhov
Share on Facebook Share
0
Share on TwitterTweet
Share on Google Plus Share
0
Share on LinkedIn Share
0

L’Apostolo della Libertà

Un corpo senza vita appeso a una corda. Le autorità si scambiano occhiate di approvazione. Adesso bisogna essere veloci a rimuovere il palco: era necessario far vedere a tutti la fine dell’uomo, ma non si deve assolutamente creare un luogo di pellegrinaggio. Il cadavere va fatto sparire, con lui si dilegueranno anche i conati rivoluzionari e la Bulgaria rimarrà parte integrante dell’Impero ottomano. Quella appena raccontata fu la fine di Vasil Ivanov Kunchev, l’Apostolo della Libertà, insegnante, monaco ortodosso, ideologo del risveglio nazionale bulgaro, catturato dai turchi a Lovech, impiccato il 18 febbraio 1873 a Sofia, e noto al mondo come Vasil Levski.

L’immagine dell’eroe nazionale ucciso dai Turchi rimase così impressa nelle generazioni post-indipendenza che fra i tanti onori che gli furono tributati, nel 1911, un gruppo di ragazzi di un liceo maschile della capitale, decise di fondare una squadra che avrebbe portato il suo nome e fatto la storia del calcio nazionale: il Levski Sofia. L’ufficiale nascita del club fu però rimandata di tre anni e questo permise ad un’altra compagine di vantare il titolo di squadra più antica della capitale.

Nacque sotto l’ombra del monumento dedicato alla Russia e dal grande vicino, prese ispirazione. Fu infatti la squadra degli slavi, che da Mosca popolano l’Europa fino alle porte dell’Occidente. Scelse come colori il bianco e il nero, disegnò un semplice stemma con un cerchio, all’interno del quale fu inscritto un triangolo con una C, che è la lettera dell’alfabeto cirillico che equivale al suono della nostra S. Sotto al triangolo la data: 1913. Slavia Sofia 1913.

Quei tempi, quelli precedenti al secondo conflitto mondiale, furono anni senza un padrone nel calcio bulgaro. Anni divisi fra l’età dell’oro dello Slavia, i primi titoli del Levski, e una costellazione di trionfi di altre squadre che poi, nel corso della storia, avrebbero dovuto abbassare la testa di fronte allo strapotere della capitale: Cherno More Varna e Botev Plovdiv su tutte.

bulgaria

Vasil Levski

La Seconda Guerra Mondiale

Non c’è dubbio che la fine della Seconda Guerra Mondiale abbia rappresentato per la Bulgaria uno spartiacque fondamentale: a livello sociale, a livello politico e alla fine anche a livello calcistico. Nel 1948 infatti arrivò l’ultimo e più importante protagonista della storia sportiva del paese. Nata come Septemvri pri CDV, il 5 maggio vide la luce il CSKA, il Club Centrale Sportivo dell’Esercito. Maglia rossa, simbolo con la stella a cinque punte, diventerà presto il simbolo del potere e verrà amata, quanto odiata, in tutto il Paese.

Il cambiamento post-conflitto si fece sentire anche sugli altri club, che nel giro di un paio di decenni cambiarono tutti nome, nell’ottica di una nazionalizzazione del calcio. Se il CSKA era già la squadra dell’esercito, lo Slavia fu unito nel 1969 al Lokomotiv Sofia e divenne il team che rappresentava i lavoratori delle ferrovie. Il Levski Sofia invece fu fuso con lo Spartak divenendo di fatto la squadra del Ministero dell’Interno.

In quegli anni il movimento calcistico bulgaro era in grande ascesa. A testimonianza di ciò la squadra nazionale centrò per due volte di fila la qualificazione ai Mondiali. Prima in Inghilterra, poi in Messico. La bandiera di quella squadra era un ragazzo di meno di trent’anni che un recente sondaggio ha eletto miglior calciatore bulgaro del ventesimo secolo, davanti a Hristo Stoichkov. Si chiamava Georgi Asparuhov. Aveva un caschetto di capelli scuri e in area di rigore era letale, nonostante un fisico prestante e potente. Era un centravanti moderno, come si dice in questi casi, che poteva ricoprire il ruolo del numero 9, ma anche quello di seconda punta. Segnò l’unico gol della Bulgaria al mondiale inglese e si fece conoscere in tutta Europa dando del filo da torcere persino al Benfica di Eusebio (246 partite e 150 gol in carriera nel solo campionato nazionale). Era la bandiera del Levski Sofia. Ma la sua stella ebbe poco tempo per brillare. Durante una partita di campionato fra Levski e CSKA ci fu un fallo poco chiaro, una reazione, e Gundi, com’era soprannominato, venne espulso beccandosi tre giornate. Colse allora l’occasione per andare a disputare una partita amichevole per i cinquant’anni del Botev Vratsa. Lui e il compagno di squadra e nazionale Kotkov partirono da Sofia a bordo dell’Alfa di Gundi. Jonathan Wilson, nel suo “Behind the curtain”, ci racconta di come per ben due volte in quel viaggio il fato ci mise il suo zampino. Prima Asparuhov decise di non aspettare il resto del pieno di benzina che aveva appena fatto. Aveva pagato con 10 lev e voleva lasciare la mancia al benzinaio. Poco dopo si fermò per raccogliere un uomo che chiedeva un passaggio. Questa combinazione di attimi, persi e risparmiati, fece in modo che la macchina con a bordo i due calciatori e l’autostoppista incontrasse un autotreno proprio su un tornante. L’impatto fu devastante e la macchina prese subito fuoco. Gundi aveva appena compiuto 28 anni.  

Il derby del 1985

Quando si trovarono di fronte, nell’ennesima finale, nessuno avrebbe potuto dire che quel Levski-CSKA sarebbe stato il più importante della storia del calcio bulgaro. Era la finale della Coppa Nazionale, il campionato era quasi finito, anch’esso dominato dalle due forze. Quello che successe in campo è noto: la partita fu caricata nei giorni precedenti da grandi proclami, portati avanti dai due ministeri che facevano capo alle due squadre. Quello dell’Interno per il Levski-Spartak, quello dell’Esercito per il CSKA. L’arbitro della gara, il signor Ahmed Yasharov, non fu in grado di gestire la grande tensione e sbagliò molte interpretazioni. Pensò che la strada migliore fosse quella di tenere basso il profilo, non sanzionando i calciatori e lasciando correre. In questo modo però dette il diritto a molti vecchi marpioni del campo da gioco di legiferare e arrivare fino alle maniere forti.

Nessuno si aspettava però che la partita potesse degenerare talmente tanto da richiedere l’intervento del Comitato Centrale del Partito. Erano anni complicati, in cui in tutta l’Europa dell’Est soffiavano venti da basso impero. Momenti complicati per la leadership del Paese, e giorni in cui si percepiva abbastanza chiaramente che qualcosa stava per cambiare. Sembra che alla fine fu lo stesso Todor Zhivkov, il grande Padre della Bulgaria socialista, a richiedere lo scioglimento di entrambe le squadre per condotta non adeguata. La Coppa non fu assegnata e il campionato fu vinto dalla terza classificata: il Trakia Plovdiv.


La scelta del Comitato centrale fu più controversa di quanto si pensi ed ebbe effetti importanti su tutto il futuro del calcio bulgaro. Innanzitutto non è difficile immaginare come il Governo volle mettere un freno chiaro e forte alle curve delle due squadre. Se negli stessi anni in Jugoslavia il potere infiltrava Arkan, come uomo forte della tifoseria della Stella Rossa, con il medesimo obiettivo, Zhivkov privava le due più importanti curve del Paese della loro ragion d’essere. Eliminava le squadre, con lo scopo di fiaccare il movimento. Inoltre le numerose squalifiche di cui furono vittima alcuni giocatori permisero a dei giovani che mai avrebbero visto il campo di farsi le ossa e di costituire lo scheletro portante di quella che, neanche dieci anni dopo, sarebbe stata la più bella Bulgaria mai vista.

Ma la misura repressiva venne ben presto annacquata. C’erano i Mondiali messicani alle porte e la nazionale aveva bisogno che le due migliori squadre continuassero a giocare. Vennero rifondate sotto il nome di Sredets (il Cska) e Vitosha (il Levski), il campionato fu riassegnato a questi ultimi e la coppa ai primi. E tutto riprese più o meno come sempre. Ci sarebbe solo da segnalare che il campionato successivo lo vinse il Beroe di Stara Zagora, che fino ad allora si era affermato solo nella Coppa dei Balcani.

Il Canto del Cigno

Il quarto posto ad un Mondiale non è un risultato che tutte le nazionali di calcio possono vantare. Quello della Bulgaria fu il Canto del Cigno più commovente della storia del calcio recente, prima che sponsor e televisioni strappassero l’anima a questo sport. Un gruppo di trentenni all’apice della loro carriera, raggiunse per caso la rassegna iridata e un po’ per fortuna, un po’ per meriti, arrivò ad un passo dalla finale. I personaggi di quella cavalcata furono un misto di bravura, genio e sregolatezza. Elementi storici, che segnarono indelebilmente la primissima adolescenza di chi era nato alla metà degli anni Ottanta.

Tutto iniziò a Parigi, Parco dei Principi. La Francia aveva già fallito la qualificazione ai mondiali in Italia. Non poteva sbagliare di nuovo. La Bulgaria era già stata una bella sorpresa ad arrivare fin lì, senza farsi sbranare prima. Sembrava tutto già scritto: vantaggio di Cantona, e partita in discesa. Oggi Emil Kostadinov ha i capelli brizzolati, foltissimi, ma porta quasi lo stesso taglio che aveva allora. Insieme a Stoichkov e Penev formava il trio d’attacco del CSKA-Sredets negli anni Ottanta. Poi si accasò al Porto dove rimase per quattro anni. Giocò titolare il Mondiale in America ma non segnò mai. Eppure una sera, una sera di quelle di grazia, con una doppietta sbancò da solo il Parco dei Principi e portò la sua nazionale negli Stati Uniti. Non concesse mai più un bis, ma che importa? Quello fu l’inizio della perfetta alchimia della Bulgaria del 1994.

In porta c’era Boris Mihailov fra i maggiori responsabili della rissa nel famoso derby del 1985, anche lui oggi è praticamente uguale a com’era allora, se si esclude qualche ciuffo di capelli sale e pepe. Era il numero uno della selezione, oggi è il numero uno della federazione. In difesa c’era Trifon Ivanov, capelli corti davanti e lunghi dietro, barba e sguardo spiritato. Si è spento qualche mese fa per un attacco di cuore. Il reparto di centrocampo era orchestrato da Balakov, la regia, il fosforo di quella squadra, l’unico che ha fatto un minimo di carriera da allenatore, e da Letchkov: dinamico, calvo, giocatore poliedrico, poteva ricoprire tranquillamente i ruoli di interno o di laterale. Nello Sliven, la squadra dov’era cresciuto, aveva fatto spesso anche il centravanti. Ma probabilmente questo non lo sapeva il difensore della Germania che, in quel famoso quarto di finale, si fece fregare dal più classico dei movimenti da numero 9: uscire e poi gettarsi nello spazio. 2-1 e Bulgaria in semifinale. Ha provato la carriera politica ed è anche finito nei guai per traffici illeciti e corruzione. Infine là davanti, c’era Hristo Stoichkov, il capocannoniere della competizione, nonché futuro Pallone d’Oro. In quel Mondiale toccò l’apice della carriera. Dopo sarebbe andato incontro solo a delusioni. Spaccone, sregolato, si racconta che rubasse nello spogliatoio del Barcellona. Una sua foto, insieme ad Ivanov, fa bella mostra di sé nello stadio del CSKA. Racconta le gioie della gioventù, e il futuro radioso che nel 1986 (anno in cui fu scattata) aspettava quei due ragazzi e i loro capelli modello mullet. Oggi il difensore non c’è più, e Hristo è un signore di cinquant’anni, con i capelli bianchi, e in patria non è proprio amato da tutti.

Il tetro presente

Quando siamo arrivati a Sofia, in un sabato mattina assolato nonostante fosse novembre, il tassista, una specie di Gene Hackman con il giacchetto di pelle, ci ha detto che per arrivare allo stadio dello Slavia sarebbe stato sufficiente prendere il tram 5 da piazza Makedonia e fare un’oretta di viaggio. Un provvidenziale ritardo ci ha obbligati a prendere un altro taxi per arrivare fino all’Ovcha Kupel Stadium, nella periferia sud ovest della città. Fortunatamente il nuovo tassista ne sapeva di calcio e ci ha risparmiato la traversata: «i derby si giocano tutti allo stadio nazionale, che è qua vicino».

Lo stadio nazionale si chiama Vasil Levski (guarda un po’), ma non c’entra niente con il club. E’ un classico impianto dell’Europa dell’est, con la grande pista di atletica e leggermente sotto il livello del terreno. L’ingresso sembra quello di un palazzo pubblico, tipo municipio. Sulle tribune celesti, c’è un grande leone rampante giallo. Non sono riuscito a capire se per motivi di sponsor (sembrava quello della Peugeot) o per il richiamo a Levski, che significa leonino. L’impianto ospita le partite della nazionale, i derby e le partite più a rischio del campionato, nonché, soprattutto in passato, le importanti partite europee delle squadre bulgare. Essendo così grande, le forze dell’ordine riescono più facilmente a tenere lontane le opposte fazioni.

Prima che la partita iniziasse, ci siamo fatti una passeggiata nel parco che si trova dietro allo stadio, alla cui estremità l’impianto sorge. C’erano campi da ping pong dove uomini sulla cinquantina si sfidavano: senza maglietta o in pantaloni corti, incuranti del freddo, che ci costringeva ad indossare un pesante cappotto. Per arrivare dal Vasil Levski al Bulgaska Army, stadio del CSKA, non serve camminare più di cinquecento metri. L’ingresso sembra un albergo (non hanno gran gusto per le facciate degli stadi) ed è fatto tutto in vetro riflettente. C’è un monumento a forma di pallone e accanto a quel pallone una serie di foto e stelle commemorative.

L’impianto è piuttosto abbandonato e, escluso l’ingresso, la recinzione esterna è coperta dalle erbacce. Abbiamo girato intorno all’impianto e alla fine abbiamo trovato un cancelletto mezzo aperto dal quale siamo riusciti ad accedere tranquillamente alle tribune, dopo aver salito una scalinata coperta di muschio e foglie cadute. Quando la vista si è aperta lo spettacolo è stato notevole. Il bel sole che faceva fatica a scaldarci, ha inondato di sfumature di rosso il Bulgarska Army, anch’esso costruito sotto i dettami socialisti: pista d’atletica e leggermente sotto terra. La storia dell’impianto non narra di epiche vittorie europee, ma ha tuttavia un episodio da raccontare. Fu proprio in questo stadio che si disputò l’ultimo atto della cavalcata della Stella Rossa di Belgrado campione in carica. In Jugoslavia la situazione si era deteriorata e per motivi di sicurezza la squadra disputò tutte le gare della competizione in campo neutro. Le prime in Ungheria, le ultime due a Sofia. L’ossatura della squadra era più o meno quella dell’anno precedente, ma qualcosa si era già incrinato, come del resto in patria, dove i venti di guerra spiravano fortissimi. In quell’occasione lo stadio era colmo di supporters biancorossi che provavano a mettersi alle spalle la guerra e a sostenere i campioni del Mondo in carica. Al vantaggio di Mihajlovic per gli jugoslavi, risposero nell’ordine Katanec, Vialli e Mancini (più un clamoroso gol annullato a Lombardo per fuorigioco). In un primo d’aprile, come uno scherzo di pessimo gusto, la Sampdoria chiuse per sempre il ciclo di una formazione storica, mettendo la parola fine ad un’epoca, quella dell’ultima squadra dell’est a trionfare nella Coppa dei Campioni.


Tornati al Vasil Levski, ci siamo accomodati fra i supporter dello Slavia, cosa che ha reso alcuni nostri vicini molto orgogliosi, ma che in realtà ci serviva solo per osservare meglio la coreografia degli Ultras del CSKA, i Sector G: fatta di fumogeni e movimenti sincronizzati. La partita è stata una pena. Da una parte lo Slavia che sembrava giocare in trasferta, tanto pochi erano i suoi supporter (che hanno offeso gli avversari urlando loro “komunisti”, incuranti delle tendenze nazionaliste dell’altra parte), dall’alta il CSKA che era una neopromossa e cercava di ritornare dove le compete. Due anni fa, la squadra era piena di debiti ed è sprofondata nelle serie minori. Dopo solo una stagione vincente, a punteggio pieno, si è trovato il modo di acquisire il diritto di ritornare nel calcio che conta. C’è voluto l’allargamento della prima divisione e la fusione con una squadra di serie B. Oggi fra i presidenti c’è Hristo Stoichkov, ma le nuove corazzate del calcio bulgaro sembrano avere un altro passo. Per la cronaca è finita 0-1 e l’unica cosa degna di nota sono stati i semi di girasole avvolti nella carta di giornale.

Il calcio bulgaro negli ultimi anni è dominato dal Ludogorets, squadra senza storia, in mano ad uno degli uomini più ricchi della Bulgaria, Kiril Domuschiev, e che ormai staziona fra Europa League e i gironi di Champions. Come fu per il Litex Lovech, anche per i verdi di Razgrad, i soldi sono stati più che sufficienti per diventare grandi e dettare legge all’interno dei confini nazionali. Oggi l’unica avversaria accreditata è ancora il vecchio Levski Sofia, che dal 1989 ha ripreso definitivamente il suo nome e rappresenta l’evoluzione senza soluzione di continuità della storica formazione fondata nel 1914.

La “Squadra della gente” gioca le partite di casa allo stadio Georgi Asparuhov, nella periferia nord est della Capitale, una bella e rinnovata struttura, anch’essa con un orribile ingresso, che la fa assomigliare a una palestra. Le grandi immagini sulla facciata riprendono la fiera storia del club, sempre inviso al potere, con una tifoseria fortemente nazionalista. Davanti all’impianto c’è una scuola, un parco per bambini e la statua del grande Gundi. Dopo cinque titoli consecutivi del Ludogorets, e la scomparsa momentanea del CSKA, il Levski Sofia rappresenta davvero l’unica possibilità che ha il calcio bulgaro di contrastare l’ascesa di oligarchi che riempiono di soldi e trofei squadre né storia, né anima.

Gianni Galleri



Nasce in Toscana, ma si trasferisce presto altrove. Sostiene di amare l’Inghilterra, in cui per pigrizia comprende anche la Scozia, ma non l’Irlanda. E anche i Balcani, quelli li ama molto. Dice di fare lo stesso lavoro di Bukowski. Ma come gli ricorda spesso un suo caro amico, dovrebbe smetterla di atteggiarsi, visto che è solo un postino. Odia chi imita l’accento toscano e chi mette in discussione José Mourinho. Vi annoierà principalmente con racconti ambientati nella Perfida Albione e sotto slavi cieli del Sud, non senza grazia.

Share on Facebook Share
0
Share on TwitterTweet
Share on Google Plus Share
0
Share on LinkedIn Share
0




  • Bulgaria
  • Mondiali
  • Stoichkov
  • Usa 94

prev

next

Archivi
  • gennaio 2019
  • dicembre 2018
  • ottobre 2018
  • settembre 2018
  • agosto 2018
  • febbraio 2018
  • settembre 2017
  • luglio 2017
  • giugno 2017
  • maggio 2017
  • aprile 2017
  • marzo 2017
  • febbraio 2017
  • gennaio 2017
  • dicembre 2016
  • novembre 2016
  • ottobre 2016
  • settembre 2016
  • agosto 2016
  • luglio 2016
  • giugno 2016
  • maggio 2016
  • aprile 2016
  • marzo 2016
  • febbraio 2016
  • gennaio 2016
  • dicembre 2015
  • novembre 2015
  • ottobre 2015
  • settembre 2015
Categorie
  • Amore per la maglia
  • Eroi di provincia
  • Senza categoria
  • Storie (in)dimenticate
Le firme del Boskov

twitter facebook google +
© Storie del Boskov. All rights reserved. 2016 Powered by Mosaika
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Continuando a navigare nel sito, l'utente ne accetta l'utilizzo. Accetto