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La partita che poteva salvare la Jugoslavia

16th Giu 2016
I 120 minuti, più rigori, che infransero il sogno di una delle più belle nazionali di sempre
La partita che poteva salvare la Jugoslavia
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Finisce tutto con un signore di Klis che si ammazza sparandosi alla testa. Sergio Goycoechea, il vero eroe delle Notti Magiche, distende la mano, e la palla destinata alla rete viene respinta. Il mondo che fino ad allora aveva conosciuto frana. L’uomo di Klis non è il più intelligente, è solo il più spaventato. Ha capito che ormai il piano è inclinato. Che la sfera ha iniziato a rotolare e che da allora andrà sempre peggio. Ha paura, più di tutti, e la fa finita.

Poco prima. L’Orso è lapidario: “La squadra ha fatto moltissimo nonostante l’assedio della stampa e la totale assenza della Federazione. Fra due anni la Jugoslavia vincerà l’Europeo. Se non si spappola, se la curano, se la seguono. Ma so già che non sarà così. Che si avvereranno le previsioni peggiori”. Non ne può più Ivica Osim. Ha fatto da parafulmine per tutto il Mondiale. Sembrava che da casa aspettassero solo che la Nazionale perdesse. E ora che niente conta più, l’allenatore si toglie tutti i sassolini dalle scarpe. Difende ancora i suoi ragazzi, anche chi ha remato contro. Ma quelli a Belgrado, a Zagabria, devono solo vergognarsi. Andate a farvi fottere.

Quarto rigore. Il capitano Faruk Hadžibegić, il rigorista della squadra, si avvicina al punto di battuta. La stempiatura inizia già a fare il suo lavoro. I capelli sono ancora neri e resi più scuri dal sudore che li incolla alla fronte. Il caldo dell’Artemio Franchi di Firenze in estate è qualcosa che solo chi l’ha provato può descrivere. L’arbitro, l’elvetico Kurt Rothlisberger, lo fissa. C’è qualcosa che non va. Controlla il numero. Non tocca a te. Tocca al numero 7. Dragoljub Brnovic viene ridestato dal torpore, era a centrocampo che cercava la concentrazione per il quinto tiro. Si avvicina al dischetto, ma non è pronto. Parato. La storia dirà che l’arbitro si era sbagliato.

jugoslaviaFlash. Maradona la può chiudere. La mette sul 3-1. Se non lo segna lui il rigore, allora chi? Parte. Parato. Flash. Stojokovic. E’ il suo mondiale. Deve d-i-m-o-s-t-r-a-r-e. Quante volte gliel’hanno ripetuto? L’occasione. Buttala dentro. Parte. Traversa. Flash. 120° minuto. L’arbitro fischia una mano a Burruchaga. E’ la vendetta dell’86. Quella volta fu fallo, ma il direttore di gara non la vide. Questa volta la vede, ma forse la mano non c’è. Si va ai rigori. Flash. Il Genio non è stato geniale. Un Mondiale anonimo. Osim l’ha messo spesso fuori. Dragan Stojkovic sembra di un’altra categoria. E’ proprio Pixie che lo mette in condizione di segnare. E’ fatta. E’ facile. Tiro. Alta.

L’arbitro sta sventolando un cartellino rosso. Siamo al 31° minuto del primo tempo. Diego Armando Maradona è ancora a terra che si rotola per il dolore. I replay, pochi a quei tempi, diranno che non si era fatto assolutamente niente. Ma l’arbitro non è dello stesso avviso e cade nella farsa del miglior calciatore del mondo. Il destinatario del provvedimento disciplinare è attonito. Sa, nell’ordine: di essere già ammonito, di lasciare la sua squadra in dieci per 60 minuti (non può prevedere che ci sarà anche la mezz’ora dei supplementari) e, soprattutto, sa di non aver fatto niente. Non vuole lasciare il campo. Non è giusto. Non per lui che solo qualche tempo prima ha lottato fra la vita e la morte. Colpito da una ginocchiata alla testa, con l’osso temporale sfondato. I medici hanno detto: morirà. Lui che sul rettangolo di gioco del Marakana di Belgrado corre e lotta come un diavolo per i colori della Stella Rossa ha detto: no. Io non muoio. E si è ripreso. E’ Rafik Sabanadzovic, è bosniaco, è considerato il figlio prediletto di Osim e oggi doveva marcare Maradona.

La situazione è tesa da morire. Gli analisti più fini hanno già previsto: ci sarà la guerra. Troppi cupi presagi. Ma forse si sbagliano. Forse andrà tutto bene. Forse, la Jugoslavia vincerà il Mondiale e forse questo servirà. Tutto si rimetterà a posto. Alla fine perché mai dovremmo scegliere di ammazzarci? Troveremo un compromesso. Un accordo. Ivica Osim, detto l’Orso, è nervoso, dentro la sua immancabile tuta dell’Adidas annuncia la formazione: Ivkovic, Spasic, Vulic, Hadzibegic, Jozic, Brnovic, Susic, Prosinecki, Sabanadzovic, Stojkovic, Vujovic. Battendo l’Argentina tutto può succedere, tutto si può ancora salvare…forse. Forza Plavi!

Gianni Galleri

Liberamente ispirato a L’ultimo rigore di Faruk, Gigi Riva, Sellerio.



Nasce in Toscana, ma si trasferisce presto altrove. Sostiene di amare l’Inghilterra, in cui per pigrizia comprende anche la Scozia, ma non l’Irlanda. E anche i Balcani, quelli li ama molto. Dice di fare lo stesso lavoro di Bukowski. Ma come gli ricorda spesso un suo caro amico, dovrebbe smetterla di atteggiarsi, visto che è solo un postino. Odia chi imita l’accento toscano e chi mette in discussione José Mourinho. Vi annoierà principalmente con racconti ambientati nella Perfida Albione e sotto slavi cieli del Sud, non senza grazia.

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