«Sai chi è Gigi Meroni?»
«No»
«Allora siediti, ti disegnerò la sua storia».
Una tela lunga e stretta, completamente bianca. Colori e pennelli. Il primo disegno è un rettangolo verde, il campetto da calcio. Qui non c’è precisione, non c’è tattica, non c’è schema. L’unica cosa che conta è il dribbling. Chi lo sa fare bene è il migliore della compagnia. Se sfiori quel rettangolo verde, senti le grida dei bambini che incitano, urlano, litigano. Vedi le ginocchia sbucciate e le mamme che strillano dal balcone quando è pronta la cena.
Si cambiano colori. Il secondo disegno è una bandiera rossa e blu. Quel ragazzo è cresciuto e indossa sulle spalle una maglia importante, con cui si fa conoscere e soprattutto amare. Il solo tocco di quei colori fa risuonare i cori dei tifosi e le loro proteste in piazza quando è pronto ad abbandonare la città. Chi ama non vuole mai che la relazione finisca, e in una corsa pazza per non lasciarlo andare c’è chi muore per lui.
Da disegno a disegno, da amore ad amore. Un cuore color granata lo attende poco più avanti. Sembra un enorme pulsante che una volta spinto proietta le immagini di una partita. Una corsa fino al limite dell’area, un pallonetto e la palla che finisce dietro al portiere. Gol. Un gol di quelli che entrano nella storia, di quelli che cambiano le sorti di un giocatore, di quelli che racconti ai tuoi nipoti.
E poi colori, spirali, luci, palloncini, stelle e coriandoli. Fuori dal campo quel ragazzo ama, ha capelli e baffi lunghi, una mansarda dove dipingere e una gallina al guinzaglio. Toglie pantaloncini e calzini sempre abbassati e mette gli abiti che disegna da solo. Prende la vita con leggerezza e passione. Non ama le rigidità e ogni istante apprezza sempre di più il gusto della libertà, quello che gli hanno sempre trasmesso i dribbling sui campi da calcio.
La luce si spegne e tutto diventa scuro. Il pennello disegna una striscia enorme, nera. Taglia la tela in verticale, quasi al termine del percorso. Si sente il rombo di una macchina, e poi solo silenzio.
«Ma la tela ha ancora un pezzo bianco»
«Sì, perché chi è come Gigi vive anche dopo»
Ancora una volta prende il pennello in mano e disegna una farfalla in quello spazio bianco. Comincia a battere le ali e tutto il quadro si illumina, per non spegnersi mai più.
Claudia Moretta
Ho raccontato di Gigi Meroni, calciatore italiano. Un’ala destra che fece sognare per le sue giocate geniali, quelle che le valsero il soprannome di “farfalla”. Ma anche fuori dal campo è diventato un simbolo di libertà e irriverenza. La prima maglia importante che indossa, rigorosamente con il numero 7, è quella del Genoa, dove fa innamorare tifosi e allenatore per il suo modo irriverente di stare in campo. Quando viene ceduto al Torino per 300 milioni di lire (cifra impensabile in passato) è una città intera a scendere in piazza. Il suo allenatore, Beniamino Santos, viene a conoscenza della vendita mentre è in vacanza. Si mette in macchina per impedirlo ma va a sbattere e muore.
Meroni arriva così al Toro. In una partita che passerà alla storia, con un pallonetto dal limite dell’area finito all’incrocio dei pali, violerà la porta del “Grande Inter” di Helenio Herrera. Dopo tre anni di risultati utili, la compagine nerazzurra cede in casa sotto i colpi della farfalla granata.
Fuori dal campo Meroni è un ragazzo che vive appieno quegli anni di ribellione. I baffi e i capelli lunghi sono solo alcuni segnali. Si disegna gli abiti da solo, dipinge, gira per Torino con una gallina al guinzaglio e vive con una donna separata in anni in cui il divorzio in Italia ancora non esiste. Quella donna è Cristiana Uderstadt, figlia di giostrai e promessa sposa di un aiuto regista romano che sarà poi costretta a sposare. Gigi e Cristiana sono già innamorati e Meroni va addirittura ad assistere segretamente alle sue nozze. Dopo poco coronano il loro sogno d’amore e vanno a vivere insieme in una mansarda, in perfetto stile bohémien.
La sera del 15 ottobre 1967 Meroni torna a casa dopo una partita con l’amico Fabrizio Poletti. Su corso Re Umberto una macchina li investe quando sono a metà della carreggiata. Poletti viene colpito di strisco, Meroni viene sbalzato dall’altra parte della strada dove viene travolto e trascinato per 50 metri. Muore poco più tardi in ospedale. Alla guida della macchina che lo investe per primo c’è Attilio Romero che diventerà presidente del Torino nel 2000.
La settimana dopo il funerale, il Torino affronta la Juventus. Un elicottero passa sullo stadio e lo ricopre di fiori. Nestor Combin, grande amico di Meroni, insiste per giocare e segna tre gol. Il quarto è ad opera di Alberto Carelli, il nuovo numero 7 successo a Meroni. Nel dopo Superga, questo resterà il miglior risultato per il Torino nel derby della Mole.
Un gruppo folk italiano, gli Yo Yo Mundi, gli ha dedicato una bellissima canzone “Chi si ricorda di Gigi Meroni?”:
«Che quando scendo in campo amore mio certi pensieri/dolori si trasformano in un magico show e li faccio sognare, in balia del mio spirito innocente, li stupisco sempre sono un giocoliere, li faccio godere geniale, anarchico e irriverente, tutti battono le mani, si alzano improvvisamente, per non perdere di vista la palla avvelenata che sembra impazzire innamorata, quando sulla fascia vola la Farfalla Indiavolata».
Moretta di nome e di fatto è la frase che la perseguita da quando è bambina. Nomen omen. Si è sempre immaginata con un cesto di more in testa, come una moderna e più gustosa Medusa. La sua fantasia un po’ onìrica, oggi, si è riversata nello sport. I campioni diventano eroi, le loro vittorie o sconfitte gesti epici. Perché lo sport è una favola a occhi aperti.