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Francesco Flachi, genio d’un bischero

04th Set 2016
Il giorno in cui Francesco Flachi, con due magie, entrò definitivamente nel cuore dei tifosi della Sampdoria
Francesco Flachi, genio d’un bischero
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«Che cos’è il Genio? E’ fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione», diceva oltre quarant’anni fa la voce fuori campo del Perozzi in quel capolavoro del cinema italiano che è Amici Miei. Il film, ambientato a Firenze, usciva nelle sale – sbaragliando al botteghino persino “Lo Squalo” di Spielberg – proprio pochi mesi dopo la nascita, nel capoluogo toscano, di un ragazzo destinato a passare alla storia del calcio come un vero bischero. E si noti bene che il termine ha accezioni sia positive, sia negative, più o meno in egual misura: ce lo insegna proprio la pellicola di Monicelli. Quel bambino si chiama Francesco Flachi, ma per parenti e amici lui è semplicemente Ciccio.

Nel 2003/2004 la Sampdoria, passata da appena un anno nelle mani di Riccardo Garrone, torna a militare in Serie A: merito del tecnico Walter Novellino, ma anche dei gol di Flachi e Bazzani, che formano una coppia a dir poco affiatata. Nel massimo campionato, però, è tutta un’altra storia: davanti ti trovi la Juventus di Lippi, il Milan di Ancelotti e la Roma di Capello. Il “bischero”, tra l’altro, è spesso in panchina nella prima parte di stagione, perché il mister gli preferisce Massimo Marazzina.

Quando Ciccio era bambino, sua nonna gli promise: «Ti do cinquemila lire per ogni goal che segni». A giudicare dalla quantità di reti messe a segno dal piccolo Flachi con l’Isolotto, la poveretta dev’essere finita rapidamente sul lastrico: alla domenica il piccolo Francesco passava a riscuotere dopo il match, e a volte la donna era costretta a sborsare venticinque o trentamila lire. Segnava con una continuità impressionante: difficilmente la metteva dentro meno di tre volte. Ma ora i tempi sono cambiati e la Serie A è dura. Ciccio, che ormai ha ventotto anni, gioca scampoli di partita, a volte resta addirittura in panchina per tutti i 90′.

Il 14 dicembre 2003 è la data da segnare in rosso, quella che cambia le carte in tavola come un dieci di denari a saltacavallo. Al Curi, contro il Perugia di Serse Cosmi, a Ciccio basta un quarto d’ora per dar mostra di quel Genio di “perozziana” memoria: rimessa laterale lunga di Bettarini dalla sinistra, Bazzani in area la spizza di testa; lui, spalle alla porta sulla linea di demarcazione dell’area piccola, controlla di petto. Sa già cosa fare, prima che la palla si impenni: lo stop di petto era già una preparazione a quella che in Sudamerica chiamano “cilena”. La rovesciata. Il sinistro impatta la sfera e dà vita ad un diagonale che diventa imprendibile per Tardioli: quando Ciccio è a terra, la Samp è in vantaggio. Che liberazione! Che gioia poter finalmente dimostrare a tutti di non essere “un intruso” in Serie A! Flachi corre e si leva la maglia, ché ancora non si viene ammoniti per un reato di siffatta grandezza. Esulta baciando la fede e alzando il pugno nel quale stringe la casacca blucerchiata, che per l’occasione è nera.

Nella ripresa la Doria però fa harakiri e si ritrova sotto 3-2 a due minuti dal termine del tempo regolamentare: i ragazzi di Novellino attaccano in massa, alla ricerca di un pari che in chiave salvezza varrebbe oro. Ci pensa il Genio, ancora una volta, perché cinquemila lire da nonna non bastano. Almeno un deca, che diavolo! Cross dalla destra, Ciccio in sforbiciata spara il pallone addosso a Tardioli che respinge goffamente; la difesa allontana sui piedi di Bettarini. Altro cross, stavolta dalla sinistra, altra sforbiciata, stavolta col piede preferito, il mancino. L’impatto è perfetto: la traiettoria non lascia scampo al portiere avversario e la palla si insacca nell’angolino.

Flachi si arrampica sulla rete metallica che lo separa dai tifosi della Samp e porta la mano destra all’orecchio. «Come, prego? Non vi sento!», sembra dire quel ragazzo non ancora trentenne, bassino e con la faccia da malandrino. Non sa – non può sapere – che di lì a tre anni avrà inizio la sua parabola discendente, fatta di una squalifica di dodici mesi per uso di cocaina, arrivata poco dopo le ombre sul coinvolgimento nel calcioscommesse. Poi il ritorno, prima con l’Empoli e poi con il Brescia, infine l’ennesima pipì fuori dal vaso. Anzi, in una provetta. Stavolta la squalifica è di dodici anni. Sipario.

FlachiOggi Ciccio ha una paninoteca e un ristorante al Ponte Rosso, a Firenze. Dice di essere felice e sinceramente pentito delle “bischerate” che gli sono costate la carriera. Racconta di aver capito una volta per tutte quali siano i veri amici e quali, invece, gli ronzavano semplicemente intorno come falene attirate dalla sua luce splendente, quella che spesso e volentieri ha abbagliato la gradinata Sud di Marassi. Con loro, con i tifosi della Doria, è invece ancora legato da un affetto senza tempo, per nulla scalfito dalle cazzate che lo hanno portato alla radiazione. E quando racconta degli anni d’oro in blucerchiato, la voce si fa tremante e gli occhi raccontano di emozioni indimenticabili. Nella stagione 2003/2004, Flachi segnerà 11 gol in campionato, 5 dei quali in rovesciata o in sforbiciata. Durante quell’annata, i difensori preferiranno quasi averlo fronte alla porta, piuttosto che di spalle. Attualmente è il terzo cannoniere nella storia del club genovese: davanti a lui solo Mancini e Vialli, che in Liguria hanno compiuto qualcosa di irripetibile sotto la guida di Vujadin Boskov.

112 reti in otto anni. Fanno… quanto? 560.000 lire, già. Ma a livello umano valgono molto, molto più. Perché servono a non sentire il chiacchiericcio dei censori, sempre pronti a giudicare gli errori altrui. Perché sono testimonianza di un rapporto con la gente, con la propria gente, che non può essere scalfito da nessuna “bischerata”. Ma soprattutto perché ci ricordano che il Genio – e la g maiuscola non è casuale – è fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione. Proprio come in quella fredda serata di dicembre, quando Ciccio ne fece due, uno più bello dell’altro, e si arrampicò sulla grata, da dove gli sembrava di poter toccare il cielo, tanto era felice.
Flachi

Lorenzo Latini
@lorenzo_lat87

 Foto copertina: Luca Ghiglione / Sportmedia



Scrittore per necessità dell’anima, giornalista per vocazione, sognatore di universi paralleli, non ha mai ceduto alla realtà. Nostalgico all’ultimo stadio, posseduto dal “Sehnsucht” Romantico e innamorato della Bellezza, ritiene che il rock’n’roll, la Roma, Shakespeare e la carbonara siano le quattro cose fondamentali per cui valga la pena vivere.

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