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Estati, rivincite e tiri a giro

03rd Set 2017
Dalla sorpresa del "tiro alla Del Piero" alla perla mozzafiato di Germania 2006 e oltre: Alessandro Del Piero, il numero 10 che visse (almeno) 3 volte
Estati, rivincite e tiri a giro
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Prima parte (Estate 1995)

La Juventus, guidata da Marcello Lippi e reduce dalla doppietta Campionato – Coppa Italia, decise di privarsi del più forte giocatore italiano di quella decade, Roberto Baggio, scommettendo su di un ragazzino che non aveva ancora compiuto 21 anni. Il giocatore in questione aveva già palesato qualche lampo di classe fuori dall’ordinario [chi non ricorda un suo pallonetto al volo contro la Fiorentina? n.d.A.], ma la decisione della dirigenza bianconera venne accolta con scetticismo dalla tifoseria e dagli addetti ai lavori.

Il 13 settembre successivo si giocò al Westfalenstadion la prima giornata della fase a gironi della Champions League. Si affrontarono i padroni di casa del Borussia Dortmund e, per l’appunto, la Juventus. Quella partita fu il preludio ad una Champions fantastica per i piemontesi, che si concluse con la vittoria ai calci di rigore contro l’Ajax campione in carica nella finale disputatasi all’Olimpico di Roma. I bianconeri, in quell’occasione, vinsero per 3-1, ed il loro numero 10, oltre a fornire gli assist per il primo ed il terzo gol (siglati, rispettivamente, da Padovano e da Antonio Conte) segnò una rete incredibile. Servito in profondità durante una ripartenza ma trovandosi in posizione defilata sulla fascia sinistra, decise di provare ad accentrarsi. Il terzino tedesco non gli concesse però spazio, tanto che l’azione sembrava aver perso d’inerzia. Giunto nei pressi del vertice dell’area di rigore, si diresse verso il cerchio di centrocampo e non verso la porta avversaria. Occasione svanita? Per nulla: lasciò infatti improvvisamente partire un liftato tiro a giro di destro indirizzato verso il palo lontano, su cui nulla poterono i 181 centimetri del portiere Stefan Klos. Quel gesto tecnico diventerà la sua specialità, tanto che verrà battezzato, come si direbbe oltremanica, after him.

Interludio (Estate 2000)

La Juventus, nonostante alcune cocenti delusioni a livello europeo (come le tre sconfitte nelle finali di Champions League del ‘97, ‘98 e 2003), conquistò svariati trofei fra il 1995 ed il 2006. Il protagonista della storia, però, visse un decennio di alterne fortune a livello prettamente personale: dopo che si ruppe il legamento crociato del novembre 1998, infatti, la sua vena realizzativa si inaridì, e fornì delle prestazioni non sempre all’altezza della sua classe cristallina, soprattutto quando scese in campo con la divisa della nazionale. All’ultimo secondo dei tempi regolamentari della finale di Euro 2000, un rasoterra di Wiltord si incuneò fra le gambe di Nesta e terminò la propria corsa nell’angolino basso, dove Toldo non riuscì ad arrivare: quanto avvenne in seguito è storia nota.

In precedenza, però, il fantasista bianconero ebbe due occasioni per chiudere la partita dopo il gol del vantaggio siglato da Delvecchio. Si ritrovò praticamente solo davanti a Barthez, in entrambi i casi in posizione leggermente defilata sulla sinistra dell’area di rigore. In ambedue le circostanze, però, non optò per attuare la sua mossa distintiva: nella prima occasione il suo scialbo sinistro si spense sul fondo, nell’altra provò invece a piazzare il pallone con un piatto destro sotto alle gambe del portiere transalpino, che però riuscì a ribattere la conclusione. La stampa lo subissò di critiche: esemplificativo, a tal proposito, il laconico incipit dell’editoriale firmato da Franco Ordine e pubblicato su “Il Giornale” dell’indomani. Repubblica rincarò la dose, sostenendo che il suo “scatto si è spento, impedendogli di saltare l’uomo e planare verso la porta avversaria come ai bei tempi.”. Il giorno successivo alla finale, incalzato dai giornalisti esordì dicendo: “Ieri sera ero distrutto. Adesso pure”. Dopo aver pronunciato un mortificato mea culpa, concluse l’intervista con le seguenti parole: “Il calcio è crudele. Ma offre sempre a tutti la possibilità di prendersi una rivincita”.

Ultima parte (Estate 2006)

L’Italia, guidata da Marcello Lippi, viene bersagliata da pesantissime critiche durante il periodo intercorso fra la fine del campionato e l’inizio del mondiale tedesco: è infatti scoppiato lo scandalo Calciopoli, e c’è chi intima addirittura alla rappresentativa azzurra di disertare la competizione. Il tecnico di Viareggio punta sulla coesione del gruppo, plasmando una squadra coriacea nella quale ogni giocatore è disposto a sacrificarsi per il bene collettivo. Per quanto riguarda la fase a gironi del torneo, il protagonista di questa storia assume un ruolo da comprimario, giocando solamente spezzoni di partita contro Ghana e Stati Uniti e non entrando in campo contro la Repubblica Ceca. Contro l’Australia, negli ottavi di finale, viene impiegato come esterno di centrocampo, lui che esterno di centrocampo non è mai stato. Sacrificarsi per il bene collettivo, dicevamo. Dopo la stentata vittoria ottenuta grazie al rigore di Francesco Totti, che gli subentra nella ripresa, i giornalisti lo rimproverano. Secondo TGCOM “non corre quanto dovrebbe quando gli azzurri restano in 10”, tanto che, stando a Repubblica, “alla mezz’ora della ripresa anche Lippi ne ha abbastanza”. L’unica voce che si discosta parzialmente dalle precedenti è quella di Eurosport, che, pur affibbiandogli l’ennesima insufficienza, riconosce che sulla sua prestazione non eccelsa influisce il fatto che sia stato impiegato in una “posizione decentrata a destra che lo mette in difficoltà”. Fatto sta che nella passeggiata dei quarti di finale contro l’Ucraina di Shevchenko non scende in campo nemmeno a risultato acquisito.

Arriviamo dunque al capitolo conclusivo di questa storia: il 4 luglio 2006 si disputa la semifinale del torneo. L’incontro si disputa nella città dove tutto ebbe inizio, Dortmund. Ora lo stadio si chiama Signal Iduna Park, ma tant’è. Il protagonista della storia entra alla fine del primo tempo supplementare. L’Italia aveva già colpito un palo con Gilardino ed una traversa con Zambrotta: inizia dunque ad aleggiare lo spettro dei calci di rigore. Jack King, in “Confessions of a Winning Poker Player”, afferma che “Pochi giocatori si ricordano delle vincite, ma ognuno ricorda con esattezza le sconfitte della propria carriera”. Incalliti giocatori di poker o meno, credo che tutti i tifosi italiani in quel frangente non riescano a pensare alla coriacea resistenza in inferiorità numerica contro l’Olanda ad Euro 2000, suggellata dal cucchiaio di Totti a Van Der Sar, nonostante si tratti dell’episodio paradossalmente più prossimo. Si rammentano, invece, dell’errore di Baggio a Pasadena, dello scialbo destro di Zola contro la Germania e della traversa di Di Biagio allo Stade de France, giusto per citare qualche episodio. Incredibile dictu, però, l’Italia passa in vantaggio ad un minuto dalla fine dei supplementari, grazie al sinistro di Fabio Grosso.

Il mio professore delle superiori, per esemplificare quanto sostiene Bergson, cioè che il tempo è relativo, diceva che un minuto trascorso abbracciando ad una stufa è più lungo rispetto ad un minuto speso tra le braccia della persona amata. Inizia allora il più lungo minuto di una partita di calcio a cui molti tifosi italiani abbiano mai assistito. La Germania spinge alla disperata ricerca del pareggio, facendo avanzare i saltatori nell’area di rigore italiana: su un lancio dalla tre quarti, però, i panzer tedeschi ivi appostati vengono sovrastati dai 176 centimetri di capitan Cannavaro, che provvede poi a strappare il pallone dai piedi di Podolski. La sfera giunge a Totti, che lancia in profondità Gilardino, il quale mantiene il possesso della stessa nei pressi, inutile a dirsi, del vertice sinistro dell’area di rigore. Accentrandosi, l’attaccante di Biella si avvede della presenza del numero 7 che sta arrivando di gran carriera alle sue spalle, e lo serve. Nonostante per effettuare questa sovrapposizione sia dovuto scattare dalla propria area di rigore, quest’ultimo riesce a mantenere lucidità e freddezza. Niente rasoterra, niente sinistri privi di mordente: questa volta bisogna armare il destro a giro. Lehmann non tenta nemmeno di protendersi verso la sfera, che si insacca, inesorabilmente, all’incrocio dei pali. Anche in questo caso, sarebbe superfluo ricordare quanto avvenne in seguito.

Nonostante già allora si apprestasse a spegnere 32 candeline, il giocatore in questione riuscirà ad aggiungere ancora molte tacche al calcio del suo fucile: diventerà capocannoniere della serie B e della serie A (elenco in rigoroso ordine temporale ma, per chi crede incrollabilmente nel romanticismo insito nel gioco del calcio, non solo), riceverà una standing ovation dopo una prestazione memorabile al Santiago Bernabeu e vincerà un altro scudetto, giusto per citare gli episodi più eclatanti. Io però assocerò ancora per molti anni a venire il suo nome a quella calda serata di inizio luglio. Quando mi chiederanno quale sia il giocatore che ha segnato il gol più entusiasmante che abbia mai visto sorriderò, poiché, come per un riflesso pavloviano, rammenterò l’ultimo minuto di una partita che sembrava stregata. E mi sovverrà uno scatto di ottanta metri ed il successivo, magico destro a giro di un giocatore formidabile. La sua maglia era, almeno in quella circostanza, azzurra. Il suo nome è Alessandro Del Piero.

Filippo Cerantola



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