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Dennis Bergkamp, forgiato dalla Kade

04th Lug 2016
Da James Rosskade, la via in cui è nato, fino alle giovanili dell'Ajax. Dennis Bergkamp, come tutto ebbe inizio
Dennis Bergkamp, forgiato dalla Kade
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«Dennis! Sali che è tardi!»

Sono più di dieci minuti che la signora Tonny si affaccia a più riprese alla finestra, nel vano tentativo di far comprendere al figlio il semplice concetto secondo cui, quando è pronta la cena, devi lasciar perdere il pallone e tornare a casa. «Dennis, forza andiamo!». Ci riprova, senza tuttavia farsi prendere dalla collera. D’altronde, con il piccolo non ce n’è bisogno. È bravo Dennis. Educato, gentile, rispettoso e ubbidiente, ma quando ha la sfera tra i piedi si isola in un mondo tutto suo, all’interno del quale consente l’ingresso solamente a Wim Jr., Ronald e Marcel, i suoi fratelli maggiori. Nessun problema comportamentale, stiamo pure tranquilli, anche se, quando passa giornate interne a prendere a pallonate il muro, qualche preoccupazione potrebbe sorgere. Una, dieci, cento volte. Di destro, di sinistro, ancora di destro e così via. Dice che è il suo allenamento personale, che gli serve per capire i tempi e i modi con cui il pallone rimbalza, per simulare situazioni di ricezione e passaggio. Certo, un po’ inusuale per un bambino di appena otto anni, ma mamma Tonny guarda il piccolo e vede Wim, suo marito, un artigiano tuttofare con la mania per la perfezione. Sono sposati da anni, e Tonny ha imparato che per Wim non esiste il “ma” nel suo lavoro. Tutto deve essere perfetto. E Dennis ha ripreso totalmente da lui, non c’è da preoccuparsi. È solo l’ennesimo piccolo perfezionista di casa Bergkamp.

È una delle tante famiglie olandesi. Gentile, cordiale, educata e – questo magari da quelle parti è più raro – con l’appuntamento fisso con la chiesa cattolica il sabato pomeriggio. I Bergkamp hanno comprato casa a James Rosskade, ad Amsterdam West, assistendo di lì a poco alla costruzione, a una manciata di metri, della A10, l’autostrada che circonda la città, separando la loro zona da Amsterdam Niuw-west, famosa per il lago Stoterplas, presso il quale si svolge annualmente il Loveland Festival, una delle kermesse più famose per gli appassionati di musica dance. James Rosskade è una graziosa via residenziale a circa dieci minuti dal centro città. Una corsia a senso unico per le macchine, parcheggi a spina su un lato – messi perlopiù di recente – e uno spazio per biciclette e pedoni, nel pieno rispetto della tradizione cittadina. Da un lato, una schiera di palazzi a quattro piani, che, di tanto in tanto, lascia spazio ai vicoli che portano nei cortili interni. Dall’altro, alberi e cespugli, posti a coprire il frastuono e l’infelice panorama offerti dall’autostrada.

dennis bergkamp

James Rosskade, oggi

Ecco, questo è ciò che vediamo noi se ci capita di passare da quelle parti. Per i ragazzi del quartiere, specialmente per quelli nati tra gli anni sessanta e settanta, quando le macchine ancora non monopolizzavano l’arredamento urbano, la Kade, come viene solitamente chiamata, è lo stadio dove i sogni prendono vita. È il De Meer, il Meazza, il Camp Nou. È questione di vita o di morte. È il rispetto di regole non scritte, ma tuttavia sacre e inviolabili, di fronte alle quali non ci si può certo ritirare solo perché è pronta la cena. Le giornate alla Kade vengono scandite da una serie infinita di quattro contro quattro o cinque contro cinque, a seconda del numero di bambini disponibili quel pomeriggio. Vincere è importante, certo, come in qualsiasi cortile del mondo, ma ciò che conta veramente è rimanere in piedi. L’asfalto è duro, e cadere per terra non è per niente divertente. La Kade ti obbliga ad affinare l’equilibrio, a mantenere un controllo sicuro e raffinato del pallone. E sopratutto bisogna inventare, perché la Kade ha regole precise, si, ma del tutto inusuali. In quel micro-mondo confinato tra la schiera di palazzi e l’autostrada è consentito sfruttare le sponde offerte dal muro, dai sottili alberi che dividono la via, e anche dalle poche macchine parcheggiate. Attenzione però, sopratutto con queste ultime bisogna essere precisi, poiché, per una questione di rispetto, è vietato colpire le portiere. Bisogna mirare alle ruote.

Equilibrio, precisione, fantasia e visione di gioco, caratteristiche che devono allinearsi e svilupparsi in una ridottissima frazione di tempo. La Kade per il piccolo Dennis Bergkamp è una palestra a cielo aperto, la moderna fucina nella quale l’olandese forgia quelli che saranno i suoi punti di forza. Da Amsterdam a Marsiglia, è ciò che Place de la Tartane ha rappresentato per Zinedine Zidane, che in quella piazza a ridosso dell’autostrada A55 – quando si dice il caso – fece esordire e perfezionò la roulette, il pezzo forte di un immenso repertorio fatto di classe ed eleganza. Storie lontane chilometri, modi quasi speculari, per quanto continuamente messi uno di fronte all’altro, di intendere e concepire la numero 10, ma tuttavia uniti da quel sottile filo rosso che corre e lega le due infanzie. Quasi a voler dimostrare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il calcio non è altro che un’unica grande storia.

bergkampGià, il calcio, alla fine basterebbe una sola parola per raccontare l’infanzia di Dennis Bergkamp. Di amici ne ha pochi, è abituato a stare sulle sue. Osserva tanto e parla poco, ma quando rotola un pallone è il primo a fare gruppo. Calcio per strada, calcio in cortile, calcio in casa, con il pallone di spugna e quell’esultanza pensata in onore, anche se in pochi ci crederanno, di Ciccio Graziani. Calcio dall’altra parte dell’autostrada, quelle poche volte in cui si poteva sfruttare l’assenza del custode dell’unico vero campo da calcio della zona, e calcio la sera, nello spazioso giardino interno abbracciato dai palazzi, con i balconi che, di punto in bianco, si trasformavano in vere e proprie tribune d’onore. Calcio il sabato sera, dopo l’immancabile messa, quando papà Wim si posizionava davanti alla tv per l’appuntamento settimanale con il campionato tedesco. Che poi, a dirla tutta, se avessero trasmesso quello inglese, sarebbe stato decisamente meglio. Il signor Bergkamp lo adorava, folgorato pochi anni prima dall’innata eleganza di Denis Law, portatore sano di un fascino talmente smisurato da convincerlo a chiamare il figlio più piccolo in suo onore. Poi, la forte somiglianza con il nome femminile Denise lo fece desistere. O meglio, ad essere precisi, qui la leggenda prende diverse biforcazioni, dividendosi tra chi afferma che fu papà Wim a scegliere di aggiungere una consonante, e chi al contrario racconta che a frapporsi tra Wim e il suo idolo fu un intransigente impiegato dell’anagrafe. In realtà, a fargli cambiare idea all’ultimo furono Wim Jr. e Ronald, entrambi preoccupati dagli eventuali problemi che un nome straniero troppo simile a uno femminile avrebbero potuto creare al nuovo arrivato.

Nome a parte però, il legame tra Wim e il piccolo Dennis è stato fin da subito fortissimo. Il papà è il primo modello a cui Dennis sceglie di ispirarsi. È un’ammirazione smisurata e convinta, alla pari di quella che prova per Glenn Hoddle, centrocampista del Tottenham e bandiera del club dal 1975 al 1988. Hoddle gli piace perché è elegante, perché spicca per equilibrio, inventiva, precisione e controllo del pallone. Se avessi dieci anni sarebbe perfetto per la Kade. Invece ne ha 22, e, dopo aver riportato gli Spurs in First Division, si appresta a deliziare il pubblico d’oltremanica con colpi di classe cristallina. Nel frattempo, Dennis inizia a giocare nel Wilkskracht, un piccolo club nel quale avevano già militato sia il padre che i fratelli, al quale alterna le gare per il club di atletica AAC, distinguendosi vincendo medaglie in tutte le discipline disponibili. Poi però, arriva il momento in cui bisogna scegliere in quale sport provare ad eccellere. Come Litmanen, che proprio in quel periodo abbandonerà l’hockey per dedicarsi al calcio, anche Dennis capisce qual è la sua vera strada. A togliergli qualsiasi dubbio, ma è plausibile ritenere che ne avesse veramente pochi in merito, sono le giovanili dell’Ajax, che bussano alla porta di questo bambino di undici anni per portarlo con loro. Inizialmente però, e giunti a questo punto sembrerebbe assurdo, a vietare a Dennis di abbracciare il suo sogno ci sono proprio Wim e Tonny, preoccupati che il competitivo ambiente dell’Ajax possa essere troppo duro per una personalità delicata come quella di Dennis. Fine dei giochi? No, perchè un anno dopo i Lancieri tornano alla carica. Gli allenamenti per i bambini sembrano meno impegnativi, giusto qualche partitella due volte a settimana, e poi c’è già un altro ragazzo della Kade con il quale Dennis può andare e tornare. Alla fine, i Bergkamp si convincono, se Dennis ci tiene tanto che vada pure. E se son rose, pardon, tulipani, fioriranno.

Continua su È bello vederti, schaduwspits

Carlo Perigli
@c_perigli



Ideatore di progetti a tempo perso e appassionato di film in serbo-croato con sottotitoli improponibili, parlerebbe per ore di calcio, di politica e di Jugoslavia. Se poi riesce a far entrare tutto nello stesso discorso, preparatevi al peggio. Forse ha aperto Storie del Boskov perché nessuno è più disposto ad ascoltarlo.

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