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Cina e pallone: la mia strana ricerca del calcio nella terra del Dragone

23rd Nov 2016
Come ho cercato di trovare il football ovunque e con chiunque. Inutilmente.
Cina e pallone: la mia strana ricerca del calcio nella terra del Dragone
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Disclaimer. Questo racconto non vuol essere esaustivo della situazione cinese. E’ solo la mia diretta esperienza in un mondo calcistico in rapida evoluzione e crescita. E’ quello che ho visto e sentito con i miei occhi e le mie orecchie e per tanto sarà parziale e non rappresentativo di tutta la nazione.

I giocatori sono in fila uno accanto all’altro. La mano sul cuore. L’impianto è pieno, cinquantamila persone vestite di rosso urlano il nome della loro nazione. Parte l’inno. E’ la terza partita del girone C delle qualificazioni a Russia 2018, area asiatica. Di fronte la Cina e la Siria.

E io mi ritrovo a guardare la partita nello sperduto paesino di Hongcun, provincia di Anhui. Uno dei ragazzi cinesi con cui sto viaggiando, sapendo che sono appassionato di calcio, mi ha proposto di vedere insieme la partita. Sono uscito a comprare quattro birre, calde (fuori dalle grandi città i liquidi si bevono a temperatura ambiente, non si raffredda niente), e ci siamo messi a vedere la gara. Dopo un paio di mie domande più tecniche, il mio amico alza le mani. Tifa la sua nazionale, ma non ci capisce niente. Gli piace il Barcellona e vuole sapere chi è il più forte calciatore per me. Mi chiede anche com’era il calcio da noi qualche tempo fa e com’è adesso. E quando mi sente scoraggiato mi chiede quale sarebbe secondo me la soluzione per una rinascita. E’ curioso e affascinato.

La partita è un’autentica pena. La Cina non imbastisce tre passaggi di fila. L’allenatore, che pur non ha a disposizione un materiale all’altezza, sente il peso delle contestazioni e la sua squadra è contratta. In novanta minuti non tira mai nello specchio. I siriani, con ben altri problemi a cui pensare, si presentano a Xian per lo zero a zero. La sorte vuole però che il portiere cinese decida per un’uscita suicida su una palla innocua e travolga il suo centrale difensivo, mettendo l’incredulo centravanti siriano solo a porta vuota. Vantaggio. Poi il nulla. Quello che fa più il tifo sono io, tanto che divento quasi l’elemento comico della serata. Dalle casse della televisione si sente l’incitamento dei presenti allo stadio, quasi sempre un: Cina, Cina, Cina.

CinaDi lì a breve ho partecipato a un matrimonio. La sera prima ci siamo ritrovati intorno a un tavolo, con qualcosa da bere, e ci siamo messi a chiacchierare “fra uomini” di calcio. Il più anziano mi ha detto che quando pensa all’Italia gli viene in mente Roberto Baggio, poi Marcello Lippi, di cui però non ricordava il nome, ma solo che era l’allenatore italiano che aveva vinto il Mondiale (e che di là a poco sarebbe anche diventato l’allenatore della Cina). I più giovani tifavano tutti per il Barcellona, il Milan, il Real Madrid. Quando ho cercato di virare la conversazione sul campionato cinese per poco non si addormentavano. Non conoscevano i giocatori, non avevano neanche una squadra preferita. Questi ragazzi venivano da diverse parti della Cina e la storia, da me architettata per giustificare il freddo disinteresse, che nella loro città non ci fosse una squadra non è riuscita convincermi.

Nelle città non si vede un campo di calcio a pagarlo oro. Dopo aver attraversato tre centri con venti, sette e nove milioni di persone, avrò incontrato tre impianti, per lo più mal tenuti e attaccati a plessi scolastici. Qualche campo da basket in più, ma siamo nell’ordine della decina. Campi da calcetto neanche a parlarne. Bambini che giocano per la strada neppure. I negozi anche quelli Nike hanno un reparto calcistico molto ridotto e totalmente “occidentale”.

L’ultimo giorno, come ultima cosa da fare prima di ripartire, sono riuscito a convincere Xiao Qing a portarmi a vedere lo stadio dell’Hangzhou Greentown, squadra che milita nella prima divisione cinese, se pur con scarso successo, veleggiando poco sopra la zona retrocessione (a dire il vero a fine stagione, dopo dieci anni la squadra è retrocessa). Me l’ha concesso. Gliel’avevo già chiesto a Shanghai ma mi aveva detto: “Sei sicuro di voler spendere due ore di viaggio in metropolitana per vedere uno stadio che sarà chiuso e vuoto?”. Avevo desistito.

Ad Hangzhou invece, dopo essermi riempito gli occhi di bellezza senza pari (la città è una meraviglia), c’ho riprovato. Dopo tutto eravamo a sole tre fermate di autobus. Non mi sono neanche fatto scoraggiare dal fatto che la cara Xiao Qing ruotasse gli occhi in quel caratteristico modo che ha lei per dimostrarmi quanto non gli vada assolutamente di fare una cosa. Niente. Volevo vederlo in tutti i modi. In una visita di nascosto al sito internet della squadra avevo visto anche che c’era una sciarpa bellissima a un prezzo davvero abbordabile.

cinaE la squadra non sarebbe stata poi male. Ho scoperto che può vantare fra le sue fila Denilson Gabionetta, ex di mezza serie B e C (Pisa, Salernitana, Crotone, Varese, Albinoleffe, Parma). E’ nata nel 1998 e da una decina d’anni milita nella massima divisione. Non ha mai vinto niente di niente e ha una maglia a righe verticali verdi e bianche, piuttosto eccentrica. Il soprannome è i 绿巨人 Green Giants. Proprio la classica squadra che potrebbe piacermi. Già mi vedo a parlare con il tipo dello shop, a convincerlo che sono un italiano, che potrebbe farmi dare una sbirciatina al campo, giusto per due foto…

Arriviamo di fronte all’impianto, che si chiama “Dragone Giallo” (Huanglong), ed è davvero maestoso. Due torri incorniciano un ingresso colossale. C’è scritto qualcosa in cinese, che corrisponde più o meno al nome dello stadio e della città. Il colore predominante, nonostante il drago sia giallo, e la squadra sia verde, è quello rosso della Cina. Non vedo scritto da nessuna parte Greentown Fc. I muri sono lindi e pinti. Non c’è un adesivo. Il terreno di gioco è ermeticamente chiuso. Sotto l’ingresso noto dei negozi. Ma scopro che sono tutti hotel e ristoranti. Dello shop non c’è traccia. Neanche dopo un’accurata ricerca online. Sono affranto. Xiao Qing mi guarda con quella sua bella faccetta e tira su l’espressione di chi “me l’aveva detto. Ma tu sei testardo e non ti sei fidato”. E conclude: “non sei in Europa, qui il calcio è così”.

a 青青

Gianni Galleri



Nasce in Toscana, ma si trasferisce presto altrove. Sostiene di amare l’Inghilterra, in cui per pigrizia comprende anche la Scozia, ma non l’Irlanda. E anche i Balcani, quelli li ama molto. Dice di fare lo stesso lavoro di Bukowski. Ma come gli ricorda spesso un suo caro amico, dovrebbe smetterla di atteggiarsi, visto che è solo un postino. Odia chi imita l’accento toscano e chi mette in discussione José Mourinho. Vi annoierà principalmente con racconti ambientati nella Perfida Albione e sotto slavi cieli del Sud, non senza grazia.

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